
Cento pellicole, dalla nascita del cinema ai giorni nostri, ciascuna con un impatto sconvolgente sui costumi, la società, l’arte e le idee dell’umanità tutta: dal 27 gennaio nelle librerie, edito da 24 ORE Cultura, I 100 film che sconvolsero il mondo a cura di Gianni Canova. Il volume guarda alla storia del cinema da un’angolazione particolare, concentrandosi sulle opere e scegliendo 100 film che hanno rappresentato un punto di svolta nella storia e nell’evoluzione della settima arte. Il libro però non vuole fissare nessun canone, né stabilire gerarchie di alcun tipo; l’intento dell’autore è piuttosto quello di fornire un “piccolo atlante di sconvolgimenti possibili, una mappa orientativa dentro la mutevole galassia del nostro immaginario”. Il lettore viene condotto in una cavalcata entusiasmante, cominciando con le grandi opere del muto di Lang e Chaplin e le creazioni dell’età dell’oro hollywoodiana, proseguendo con i capolavori di Orson Welles e Hitchcock, la grande stagione del Neorealismo, la Nouvelle Vague e la commedia all’italiana, continuando con le narrazioni impegnate di autori come Visconti, Pasolini, Tarkovskij e Bergman. E poi ancora le grandiose saghe degli anni ’70 e ’80, tra cui Star Wars, Alien, Apocalypse Now e Il Padrino, fino ad arrivare agli anni più recenti, ricchi di grandi cult come Forrest Gump e Il Grande Lebowski dei fratelli Cohen, e ai giorni nostri, con importanti pellicole tra cui La grande bellezza di Sorrentino e Parasite del coreano Bong Joon-ho. “Il cinema ha tolto le sbarre dalla testa della gente. – dichiara Gianni Canova – Ha aperto i cancelli del pensiero. Ha reso più ricca tutta l’umanità. Ricca di immagini, di mondi, di sogni. Ricca di esperienze emozionali. Il cinema ha regalato stupore. Ha interrotto il grigiore monotono del mondo. In questo e per questo è stato sconvolgente.” Con un linguaggio essenziale e brillante, le schede di Gianni Canova ci fanno entrare nel mondo espressivo di ogni film e, al tempo stesso, disegnano davanti ai nostri occhi una mappa ricca, sfaccettata e varia di cosa è stato e cosa è oggi il cinema: grande spettacolo popolare, macchina delle meraviglie, serbatoio dell’immaginario collettivo popolato dai volti ammalianti delle star, strumento di sperimentazione artistica nelle mani di autori come Buñuel e Kubrick, David Lynch e Nolan. Ma anche veicolo senza tempo di cultura e di idee, fuoco in grado di alimentare i dibattiti e di appassionare intere generazioni.

Dana Renga, docente di cinema italiano all’Ohio State University di Columbus, ha pubblicato Watching Sympathetic Perpetrators on Italian Television. Gomorrah and Beyond (Palgrave Macmillan, Svizzera), un’analisi serrata e impietosa della criminalità rappresentata alla tv e nel cinema del nostro paese. Dalla prefazione di Massimo Scaglioni dell’ateneo milanese: “Il male rappresentato nelle fiction televisive esercita un fascino singolare sugli spettatori. Sotto i riflettori dei media internazionali negli ultimi anni, i drammi seriali di produzione italiana hanno sondato le profondità oscure del male attraverso la struttura narrativa di personaggi complessi, criminali, assassini, boss mafiosi, antieroi che hanno offerto agli spettatori una visione in prima fila dell’inferno. Dana Renga riesce egregiamente a guidarci in uno straordinario viaggio attraverso i retroscena dei polizieschi italiani che hanno alzato l’asticella della qualità provocando una vera e propria rinascita della TV italiana. Il libro esplora fiction come Romanzo criminale, Gomorra, Suburra, per citarne solo tre delle più rinomate a livello internazionale, e applica un’attenta analisi testuale per analizzare personaggi che suscitano un’attrazione empatica sollevando contemporaneamente dilemmi etici nella mente degli spettatori. In tal modo Dana Renga fornisce spunti fondamentali non solo per comprendere un aspetto chiave della cultura popolare italiana contemporanea, ma anche, più in generale, per contestualizzare il significato degli antieroi nelle fiction televisive attuali, svelando un forte collegamento tra la produzione statunitense di qualità (da I Soprano a Breaking Bad e altre) e le proposte europee”. La docente americana studia non solo le strategie e le tattiche dei gomorristi di finzione, anche quelle dei rispettivi modelli nella realtà, e di come oramai questi ultimi s’ispirino ai discendenti televisivi dei padrini incarnati sul grande schermo nel secolo scorso da Marlon Brando e Al Pacino. Una pagina dal libro: “Nel finale del film diretto da Michele Placido nel 2010 sul criminale milanese Renato Vallanzasca (Vallanzasca – Gli angeli del male) il protagonista spiega a un intervistatore radiofonico: ‘Io non sono malvagio. Ho solo un lato oscuro leggermente pronunciato. Io sono come un angelo affascinato dalle tenebre’. Ciò dopo aver ammesso la propria colpevolezza affermando di aver commesso ‘veri disastri’, che nella fedina penale di Vallanzasca si traducono in una condanna a 295 anni, ovvero a quattro ergastoli per una serie di reati tra i quali l’omicidio d’un agente di polizia. Vallanzasca era chiamato ‘il bel René’ ed era una figura estremamente carismatica e attraente. Nel film di Placido, Vallanzasca è interpretato da Kim Rossi Stuart, uno degli attori italiani di maggior successo e convenzionalmente attraenti, il quale ha lavorato a stretto contatto con lo stesso Vallanzasca nella preparazione della parte. Il bell’aspetto di Rossi Stuart ha sicuramente contribuito alle proteste e ai boicottaggi che l’uscita del film ha suscitato”. Tra i conflitti epici che Dana Renga analizza, a quelli tra Rai, Sky e Mediaset vengono dedicati tre capitoli dai titoli risonanti. “Rai, educare divertendo, divertire educando”. “Sky, una proposta che non si può rifiutare”. “Mediaset, il modello middlebrow”. Dana Renga si era già occupata dell’argomento in passato con altri due volumi. Unfinished Business. Screening the Italian Mafia in the New Millennium (University of Toronto Press, 2013), in cui studia in particolare l’identità dei personaggi femminili abitualmente sacrificati nelle saghe mafiose italiane, da Placido Rizzotto a I cento passi, Le conseguenze dell’amore. E Mafia Movies. A Reader (University of Toronto Press, 2019), un’antologia da lei curata nella quale dieci ricercatori focalizzano la propria attenzione su una cinquantina di film e fiction internazionali del passato e del presente.

In libreria da Dicembre 2021 e non solo, l’edizione 01 della Rivista cartacea Eki, magazine d’arte semestrale dedicato a chi ama la luce, ne trae ispirazione, la studia o semplicemente la osserva. Il tema di questa prima uscita è Luce Notturna. La rivista ospita artisti ed esperti provenienti da tutto il mondo e il suo scopo è quello di creare uno spazio per condividere e confrontare molteplici modi di approccio alla luce, attraverso tecniche e idee creative diverse. Ogni numero della rivista è redatto sia in italiano che in inglese e tratterà di un tipo specifico di luce. Fondatrici del Magazine sono Camilla Cattabriga, Claudia Sicuranza ed Eleonora Contessi, fotografe che hanno incrociato le loro vite al Centro sperimentale di Cinematografia di Roma. “Il mondo del cinema, come tanti altri, è sempre stato dominato principalmente da uomini. – si legge in una nota – Abbiamo quindi deciso di impegnarci affinché Eki non escluda mai artiste donne, per garantire visibilità e supporto alle colleghe che sanno creare e costruire narrazioni artistiche significative”. Sulla scelta apparentemente anacronistica della carta, si legge: “stiamo vivendo una fase critica nel mondo dell’editoria, correlata alla velocizzazione del mondo che viviamo. In un mondo che va sempre più veloce, vogliamo invitare ad un momento di riflessione, un ritorno alla fisicità e ai gusti sensoriali, come può essere il tatto sulla pagina, l’odore di una rivista”. Il nome Eki si ispira alla divinità del Sole nel pantheon basco, figlia di Ama Lur (Madre Terra), colei al principio di tutto. Ama Lur donò agli uomini la luce di Eki, grazie alla quale riuscirono a liberarsi dalle sofferenze provocate da Gaueko, Dio delle tenebre. Il primo volume, tra gli altri articoli, contiene interviste a Agnès Godard, Manuele Fior, Kari Kola, Lena Sjoberg, Claudio Simonetti e Pietro Palladino.

380 film internazionali ambientati nel Medioevo e nel Rinascimento italiani vengono schedati e analizzati uno per uno dallo storico svizzero Hervé Dumont nel nuovo capitolo del suo megasito enciclopedico in continua espansione. L’ex direttore della Cinémathèque Suisse, autore di giganteschi volumi dedicati ai film su Napoleone, all’intera produzione cinematografica elvetica, al maestro hollywoodiano Frank Borzage – alias Francesco Borzaga, dalle radici trentine -, studia la rappresentazione filmica della storia d’Italia a partire dalla caduta dell’Impero Romano. Un ‘super-Bignami’ divertentissimo e consigliabile a insegnanti e studenti, dato che buona parte delle pellicole citate si trovano ormai su internet. Spiega Hervé Dumont: “Lo scopo principale di questo sito dedicato alle emozionanti interazioni tra storia e cinema è quello di rendere di pubblico dominio il frutto di 40 anni di ricerca sul campo. La mia Enciclopedia del cinema storico è infatti un tentativo di commentare 20.000 film e telefilm storici. Una summa che desidero offrire gratuitamente a ricercatori, cinefili, divoratori di pellicole, storici, giornalisti e curiosi di tutte le fedi. Uno strumento di lavoro e di riferimento, ma anche un invito giocoso a viaggiare e scoprire gli oceani conosciuti o dimenticati dell’industria audiovisiva. Un corpus che internet consente oggi di distribuire in modo più efficace e capillare rispetto alle edizioni cartacee”. Il nostro un tempo esportatissimo genere mitologico, in francese definito péplum, in inglese swords and sandals, la fa da padrone. Da Alboino e Rosmunda (1909) di Ernesto Maria Pasquali a La Papesse Joanne (2017) di Jean Breschand, il primo Millennio abbonda di personaggi pseudostorici o inventati. Il secondo Millennio viene invece affrontato da Dumont attraverso otto sezioni distinte: l’Italia settentrionale, la Repubblica Serenissima, l’Italia centrale, lo Stato Pontificio, le undici guerre d’Italia e il Sacco di Roma del 1527, l’Italia meridionale con i Regni di Sicilia e di Napoli, il mondo delle arti, e infine i film senza riferimenti storici precisi ambientati tra l’XI e il XVI secolo. Quanti spettacolari A spasso nel tempo grazie a Carlo Vanzina, Mario Monicelli, Alessandro Blasetti, Steve Reeves, Vittorio Cottafavi, Mario Bava, Mauro Bolognini, Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, Vittorio Gassman, Brancaleone da Norcia, Dante Alighieri, Lorenzo de’ Medici, i Borgia, Tiziano Vecellio, Ercole, Marin Faliero, Chelo Alonso, Gino Cervi e tanti, tanti, tanti altri. Vedi link

Il sito Indiwire elogia uno per uno 29 cinematographer internazionali candidati ai massimi riconoscimenti. Assieme a nomi celebri quali Bruno Delbonnel, Denis Lenoir, Linus Sandgren, Dan Laustsen, Paul Thomas Anderson, Robert Yeoman, Hidetoshi Shinomiya, figurano due italiani emergenti nella professione di ‘autori della cinematografia’, secondo la definizione prediletta da un maestro quale Vittorio Storaro: Daria D’Antonio per È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, e Daniele Massaccesi per Matrix Resurrections di Lana Wachowski. Figlio d’arte – il padre Aristide Massaccesi era il regista noto con lo pseudonimo Joe D’Amato -, Daniele Massaccesi aveva lavorato come operatore in grandi produzioni dirette, tra gli altri, da Martin Scorsese, Ridley Scott, Matteo Garrone, Antoine Fuqua. Ha preso in mano le redini fotografiche del quarto film della serie Matrix quando il collega americano John Toll – due volte Premio Oscar – ha deciso di lasciare la lavorazione. Ha girato in 4K utilizzando la macchina da presa Red Ranger e obiettivi Panavision. Spiega Massaccesi: “La serie Matrix è sempre stata molto avanzata sul piano visivo. Matrix Resurrections arriva a vent’anni di distanza dal primo film. Le cose sono assai cambiate nel mondo, perciò abbiamo deciso di creare un look nuovo che apparisse più reale della realtà stessa”. Daria D’Antonio, allieva e assistente di Luca Bigazzi, aveva lavorato con cineasti quali Gianni Di Gregorio, Valerio Mieli, Marco Segato. Ha girato È stata la mano di Dio in 8K HD Redcode Raw utilizzando la macchina da presa Red DSCM2 Monstro e obiettivi Arri Signature Prime. Racconta D’Antonio: “Il formato largo, e in particolare gli obiettivi Arri Signature, mi hanno avvicinato ancora di più al giovane protagonista Fabietto. Quel giovane che poi è diventato l’uomo che conosco da molto tempo, un regista con il quale collaboro da tanti anni e che è soprattutto un fratello. Stare al suo fianco in questo viaggio spericolato ed emotivo ha richiesto rispetto assoluto, atteggiamento mimetico e una grande leggerezza d’animo. Mi piaceva che l’immagine fosse ricca di dettagli ma che avesse una certa morbidezza, che fosse come una carezza. Mi piaceva l’idea che la figura umana fosse in primo piano e sullo sfondo si potessero percepire tanti elementi senza mai distrarsi dalle emozioni e dai pensieri dei personaggi. Volevo colori discreti, movimenti di macchina diegetici e che le luci descrivessero delle emozioni”. La prestigiosa rivista hollywoodiana American Cinematographer edita dall’American Society of Cinematographers-ASC annuncia nel numero di marzo un’intervista proprio con Daria D’Antonio.