
Il regista: “Questo é il film che non abbiamo potuto fare, l’idea é nata trent’anni fa”.
Presentato in anteprima mondiale, alla sezione Berlinale Special del Festival del Cinema di Berlino, “Laggiù qualcuno mi ama”, il nuovo film di Mario Martone che racconta Massimo Troisi.
Il docufilm già in 100 sale cinematografiche sarà distribuito il 23 febbraio in altre 300 sale.
Per Martone, questo docufilm è l’occasione mancata di fare un film “con” il grande comico, morto il 4 giugno 1994, il giorno dopo la fine delle riprese de “Il Postino”.
“Questo é il film che non abbiamo potuto fare e ho voluto riportare Massimo sullo schermo”, ha detto Martone, incontrando un ristretto gruppo di giornalisti.
“L’idea del film é nata molto tempo fa”, quando ebbe modo di fare amicizia con Troisi. “Nel 1992 ci siamo conosciuti a Montpellier lui aveva visto ‘Morte di un matematico napoletano’ poi eravamo stati a cena e non aveva detto niente del film. Poi tornando a casa di notte lui mi ha preso sotto braccio e mi comincia a parlare del film.
Poiché a cena non aveva detto una parola, pensavo che non gli fosse piaciuto. Ci scambiammo i numeri e poi ci rivedemmo a Roma. Era nata un’amicizia che purtroppo ha avuto tempi brevi”, prosegue.
Martone ricorda quando fece visita a Troisi sul set de “Il Postino”, quello che sarebbe stato il suo ultimo film: “Io andai sul set de ‘Il postino’ perché c’era Anna Bonaiuto con cui stavo allora che interpretava la moglie di Neruda, lui stava male, stava sul letto nella sua stanza ma ti faceva ridere e tutti erano attorno a lui”.
Per Martone, Troisi è sempre stato un grande autore cinematografico. “Pensavo che quello suo fosse un cinema molto bello, al di là che fosse un attore e un comico amatissimo ho potuto fare questo documentario perché i produttori mi hanno permesso di montare pezzi dei suoi film e far tornare a vivere il suo cinema sullo schermo. Provo a raccontare perché il suo cinema fosse così bello, a partire dal rapporto con la Nouvelle Vague”.
“Massimo era ribelle, aveva un istinto politico a cui é rimasto sempre fedele e nei foglietti che ha lasciato, che ha Anna Pavignano e io ho potuto filmare, ci sono tante riflessioni di quando era giovane anche di carattere politico. Era figlio del tempo e di quella Napoli.
In uno dei foglietti teorizza il personaggio che non deve mai piegarsi, mai arrendersi al conformismo e lui é stato sempre fedele a questo: mantenere la schiena dritta, voler fare quello che voleva fare é atteggiamento tipico della Nouvelle Vague. Come lo é parlare d’amore in senso problematico, interrogarsi sull’amore come qualcosa che appare e scompare, che é difficile da raggiungere. Così come il rapporto con Napoli, città scomoda, piena di luoghi comuni da cui vuole andare via ma con cui è legatissimo”, continua il regista.
Troisi, prosegue Martone, aveva un “disagio complessivo che portava il suo agire da artista”, “e i temi si riflettevano nella forma: il mondo in cui girava aveva sceneggiature non definite come in quegli anni, ma anche il mondo di filmare con scelte completamente libere, a volte da cinema radicale come fare tutto di spalle la scena del citofono in ‘Ricomincio da tre”.
L’indipendenza e la libertà di Troisi sono visibili, per Martone, anche nella volontà di scrivere il suo primo film con la fidanzata di allora, Anna Pavignano, un’accesa femminista di Torino, con cui scrisse tutti i suoi film, anche dopo che la loro storia d’amore finì.
“Massimo era già un nome, veniva dal successo della ‘Smorfia’ e avrebbe potuto scegliere gli sceneggiatori migliori – e allora ce n’erano di bravissimi – eppure ha deciso diversamente e questo già ti dice della totale libertà cosa che a me piaceva moltissimo”.