
Quattro esperienze straordinariamente emblematiche in una indagine su quale sia l’impatto, nella vita di un bambino, della fama, dei riflettori, della visibilità esibiti dalle riviste e dalla pubblicità. Un unico nucleo familiare, unito e protetto dal culto della bellezza. Bellissime di Elisa Amoruso prodotto da Fandango e realizzato con il contributo alla produzione della Direzione Generale Cinema, già in Alice nella città – Panorama Italia e nella sezione Luminous dell’ IDFA – Documentary Film Festival Amsterdam 2019. In sala dal 18 novembre. Il video promozionale nel canale Cinemamibac su youtube. Ulteriori info nel sito intenet: www.fandango.it
Il film Aspromonte la terra degli ultimi di Mimmo Calopresti è una produzione Italian International Film con Rai Cinema, prodotto da Fulvio e Federica Lucisano, con il contributo di Regione Calabria e Calabria Film Commission e realizzato anche grazie al contributo d’imposta – tax credit, scritto da Mimmo Calopresti con Monica Zapelli, già autrice de I cento passi, con la collaborazione di Fulvio Lucisano,tratto dall’opera letteraria di Pietro Criaco Via dall’Aspromonte (Rubbettino Editore). È distribuito da Italian International Film. Interpretato da Valeria Bruni Tedeschi, Marcello Fonte, Francesco Colella, Marco Leonardi, Sergio Rubini. Il film è ambientato ad Africo, un paesino arroccato nell’Aspromonte calabrese, alla fine degli anni ’50, dove una donna muore di parto perché il dottore non riesce ad arrivare in tempo perché non esiste una strada di collegamento. Gli uomini, esasperati dallo stato di abbandono, vanno a protestare dal prefetto. Ottengono la promessa di un medico, ma nel frattempo, capeggiati da Peppe, decidono di unirsi e costruire loro stessi una strada. Tutti, compresi i bambini, abbandonano le occupazioni abituali per realizzare l’opera. Giulia, la nuova maestra elementare, viene dal Nord, e vuole insegnare l’italiano “se Africo entrerà nel mondo grazie alla strada, i ragazzi dovranno conoscerlo prima, imparando a leggere e a scrivere”. Ma per il brigante Don Totò, quello che detta la vera legge, Africo non può diventare davvero un paese ‘italiano’… Aspromonte La terra degli ultimi è un western atipico sulla fine di un mondo e sul sogno di cambiare il corso degli eventi grazie alla voglia di riscatto di un popolo. Note di regia: Il Sud è da sempre luogo geografico e luogo dell’anima. Inferno e paradiso, cronaca e favola. Così è questo film. Africo è in Europa, e ci ricorda cosa, solo un secolo fa, poteva essere la nostra terra, ma in quanto sud assomiglia nei suoi sogni e nelle sue sconfitte, più che al nostro continente, a tutti i luoghi ai margini del mondo. Ancora vivi, ancora presenti, ancora disperatamente alla ricerca di un futuro, alla porte dell’Europa. In sala da giovedì 21 novembre. Per ulteriori info ed il video promozionale www.lucisanomediagroup.com
Consueta capigliatura dal ciuffo “sgarbiano”, adesso dalla sfumatura platino per massimo omaggio alla nuova Terra d’adozione, la Germania tutta “mafia e pizzerie italiane” che Cetto La Qualunque/Antonio Albanese ha ormai colonizzato dopo aver lasciato la fascia da sindaco di Marina Di Sopra, di cui ora è primo cittadino Melo La Qualunque (Davide Giordano), il figlio, un giovane sindaco integerrimo e al passo con i tempi: tecnologico, green, no tax, no vax, “cazzu cazzu”. Eppure la famiglia, l’Italia – a quasi dieci anni da Qualunquemente (2010) e a sette da Tutto tutto, niente niente (2012) – l’agonia dell’ultranovantenne zia, sono un richiamo a cui Cetto non si sottrae: torna così a Marina e, sul letto di quasi-morte dell’anziana scopre un passato clamorosamente eccezionale: Cetto è proprio “un figlio di puttana”. Sua madre, infatti, giovane ricamatrice, cinquant’anni fa circa, aveva “testato” le lenzuola che con le sue “mani d’oro” – “e non solo quelle”, specifica la decrepita zietta – consegnò una sera nella casa del principe del posto, rimanendo incinta di Cetto, unico erede dei Buffo di Calabria. In un Paese, la nostra Italia, in cui basta promettere meno tasse per poi aumentarle, e altri paradossi così, in cui nessuna forma di alleanze “cromatiche” – e non – ha portato ad una stabilizzazione, un consesso di nobili sprona Cetto Buffo a portare avanti la causa monarchica, con certa incoronazione, nientepopodimeno che, da parte del Santo Padre. Antonio Albanese, che ha sceneggiato con Piero Guerrera il film Cetto C’è, Senzadubbiamente, sceglie il tono della fiaba per proporre questo terzo capitolo della storia di Cetto La Qualunque, calando così il personaggio iperbolico dentro ad una dimensione con specifici e riconoscibilissimi richiami al quotidiano sociale e politico italiano, ma rimanendo nella dimensione favolistica, che da una parte conferisce a Cetto un profilo ancor più in linea con certa sua surrealtà, dall’altro forse un po’ sbiadisce il suo eccezionale smalto, prima amplificato proprio dal fatto d’essere perfettamente immerso nella realtà più concreta. Il suo essere eccessivo, gretto, squallido, smodatamente normale, non era mai qualcosa di fantasioso, ma anzi un’impietosa, quanto tangibilissima, fotografia del “difetto italiano”, un profilo che ancora vive anche in Cetto C’è, Senzadubbiamente, ma che un po’ il linguaggio fiabesco smorza e rende meno ficcante. Con Cetto, nel film incontriamo i personaggi che hanno brillantemente già connotato la sua biografia: il figlio Melo, il fedelissimo Pino (Nicola Rignanese), la ex moglie (Lorenza Indovina) qui in una piccola ma esilarante sequenza, dove da ingioiellata e volgare signora La Qualunque è ora monaca di clausura; ma adesso, altra storia, altri personaggi: sono infatti il nobile ed enigmatico Venanzio (Gianfelice Imparato) e la biondissima Petra, sensuale moglie tedesca (Caterina Shulha), ad aggiungersi al clan di Albanese, per cui “con tutto quello che succede ultimamente nella politica italiana, Cetto rischiava di trasformarsi in un moderato, doveva riapparire adeguandosi all’aria del tempo, ancor più trasgressivo e potente. Avevamo immaginato in un primo tempo un certo Presidente della Repubblica che fosse una sorta di educatore/guru legato alle religioni ma poi, nel lavoro di documentazione, abbiamo verificato che il mondo della monarchia non è affatto scomparso in Europa, anzi si mantiene vivo e vitale”, spiega il “re” del film, Antonio Albanese, che in una sequenza finale chiosa in musica, con il brano dal titolo eloquente Io sono il re – testo di Albenese e Guerrera – cantato, in scena, con il rapper Gué Pequeno.“Non era facile trovare la strada per questo clamoroso ritorno, ma Antonio e Piero sono soliti stupirci con la loro invidiabile capacità di cogliere gli umori del Paese”, dice Giulio Manfredonia, regista del film, e fedelissimo compagno di set di Albanese da ormai 25 anni. Prodotto e distribuito da Wildside, Fandango, Vision Distribution, il film è nelle sale dal 21 novembre.
Giovedì 28 novembre esce nelle sale il film Il Peccato, del regista russo Andrej Končalovskij, il racconto della vita e dell’opera di Michelangelo Buonarroti, un ritratto dell’artista, dei suoi dissidi interiori, delle sue passioni. Il film è ambientato in Italia nel 1512, quando Michelangelo ha appena terminato di dipingere la volta della Cappella Sistina. L’improvvisa morte del Papa Giulio II (Giuliano Della Rovere), la conseguente influenza dei Medici in Vaticano e il conflitto tra due delle famiglie più potenti d’Italia, coinvolge anche l’artista, che riceve pressioni da entrambi i committenti. Protagonista del film, l’attore Alberto Testone, scelto dopo molti mesi di casting, per la ricerca di un volto che potesse avvicinarsi a quello del grande Michelangelo Buonarroti. Il film, già evento speciale di chiusura della Festa del Cinema di Roma 2019, è stato girato nel 2017, in buona parte in Toscana, alle cave di marmo di Carrara e in altre location toscane, tra cui Firenze, Bagno a Ripoli, Arezzo, Monte San Savino, Montepulciano, il castello Malaspina di Massa e il castello di Fosdinovo, ed è sostenuto da Toscana Film Commission nell’ambito del programma Sensi Contemporanei Toscana per il Cinema. Il Peccato di Andrei Konchalovsky ci restituisce la passione violenta della creatività di Michelangelo, sempre in bilico tra la grazia divina, un dono inspiegabile e l’ambizione scaltra, l’avidità, la voglia di primeggiare che non si ferma davanti a niente, neanche ai propri sentimenti. Quello che l’autore ci offre è un punto di vista originale che frantuma il finto universo rinascimentale inventato dal cinema e dalla televisione. Nel racconto di Konchalovsky le mani sono tornate sporche e le unghie rotte dal lavoro, e i capelli impregnati di sudore, della polvere di marmo, delle foglie d’oro e dell’azzurro dei lapislazzuli con cui gli artisti del Rinascimento cambiarono il volto del mondo. Una coproduzione italo russa di Andrei Konchalovsky Studios, Jean Vigo Italia, Rai Cinema, con il sostegno di Art, Science and Sport Charity Foundation e realizzato anche grazie al contributo del credito d’imposta – tax credit. Tra gli altri interpreti: Jakob Diehl, Francesco Gaudiello, Massimo De Francovich, Orso Maria Guerrini, Federico Vanni, Glen Blackhall, Anita Pititto, Antonio Gargiulo, Simone Toffanin, Nicola Adobati. Ulteriori info e video promozionale nel canale di 01 distribution