
“Federico Fellini, Dizionario intimo”
Federico Fellini Dizionario intimo per parole e immagini
“Non è la memoria che domina i miei film. Dire che i miei film sono autobiografici è una disinvolta liquidazione, una classificazione sbrigativa. Mi sono inventato quasi tutto, un’infanzia, una personalità, nostalgie, sogni, ricordi, per il piacere di raccontarli… Quel che so è che ho voglia di raccontare. Francamente, raccontare mi sembra l’unico gioco che valga la pena di giocare”. Così Fellini svela le radici del suo cinema in uno dei numerosi omaggi che accompagnano le celebrazioni del centenario della sua nascita, il libro “Federico Fellini, Dizionario Intimo per parole e immagini” (edizioni Piemme), presentato a Roma nell’incontro organizzato dalla casa di produzione Groenlandia, condotto dalla giornalista e scrittrice Lorenza Foschini, con le letture dell’attrice Greta Scarano. A parlarci del Dizionario, curato da Daniela Barbiani – nipote del Maestro e sua assistente alla regia dal 1980 al 1993, negli ultimi suoi quattro film – con la collaborazione di Stefano Godano, ma soprattutto del loro rapporto diretto con il riminese, oltre ai due autori, c’erano Carlo Verdone, Vincenzo Mollica, Milena Vukotic e Milo Manara. “Abbiamo voluto rendere visibile un’altra arte più nascosta di Fellini, quel suo parlare in modo profondo ed elegante ma con leggerezza, sempre colmo di poesia – spiega Barbiani – Nelle parole magnetiche e precise riversava la sua immaginazione e ironia”. Il Dizionario, con le oltre duecento voci in ordine alfabetico che occupano tre differenti sezioni – rispettivamente Arte e disegno, Sogni e immaginazione, Persone, personaggi e luoghi – è stato realizzato cercando e recuperando brani di libri, interviste, filmati editi e inediti e anche testimonianze dirette. Ad accompagnare alcuni lemmi vi sono i divertenti disegni, le caricature graffianti di Fellini. “Disegnare era il suo modo di cominciare il film, di buttare giù i caratteri, i personaggi che poi sarebbero entrati a far parte del film esattamente come li aveva concepiti”, ricorda la curatrice del libro. A ispirare la formula del vocabolario è stato Milan Kundera, in particolare quella parte del libro “L’arte del romanzo” che lo scrittore ceco, naturalizzato francese, chiama “Le sessantasei”, 66 parole-chiave. E proprio Kundera, innamorato del cinema felliniano, apre il Dizionario: “I sette film degli ultimi quindici anni di Fellini sono stati un ritratto implacabile del mondo in cui viviamo”. E a chiudere il libro è lo scrittore e critico Pietro Citati che si chiede se davvero Fellini fosse un regista: “Avrebbe potuto essere molte cose: pittore, trascinatore di folle, un ‘divino’ mondano o un eccellente scrittore, l’unico tra i registi italiani”. Stefano Godano, collaboratore del volume, ricorda il rapporto con la letteratura. “Fellini era un lettore avido, tanto da passare tutte le sere alla libreria Feltrinelli di via del Babbuino. Aveva portato Georges Simenon all’Adelphi, strappandolo alla Mondadori. E di lui hanno scritto autori come Saramago, Rushdie e Marquez”. Non solo regista, ma poeta, attore, scenografo, truccatore, pittore ma soprattutto psicologo, capace di far lavorare bene anche l’ultimo dei generici, così lo vede Carlo Verdone, che da giovane ha conosciuto Fellini spesso ospite del padre Mario: “Lo accompagnavo per le scale di casa nostra avendo lui paura dell’ascensore”. Per l’artista romano il Maestro era un uomo alla ricerca costante della poesia, se non la trovava in un ambiente, la ricreava. E il Dizionario è un esame istologico della sua anima che ci fa capire la sua poetica, il suo mondo e quanto sono importanti Rimini, Roma e Cinecittà. “A Cinecittà non ci abito, ma ci vivo. Le mie esperienze, i miei viaggi, le amicizie, i rapporti cominciano e finiscono nei teatri di Cinecittà… Per me il posto ideale, l’ho detto tante volte, è il Teatro 5 di Cinecittà, vuoto. Ecco l’emozione assoluta, da brivido, da estasi, è quella che provo di fronte al teatro vuoto: uno spazio da riempire, un mondo da creare”. Vincenzo Mollica ricorda quanto lo stimasse David Lynch che venne a trovare Fellini a Roma quando era ricoverato all’ospedale. “Negli ultimi tre/quattro anni della sua vita nessuno voleva che facesse un film, eppure Federico ha capito per primo quanto questo mondo fosse malandato e l’importanza del silenzio. E ricordo ancora con nostalgia i nostri viaggi sulla mia scassata Fiat Uno rossa e la continua richiesta di fermarsi per telefonate improvvise da quelle cabine incontrate lungo la strada”. Per l’attrice Milena Vukotic, interprete di alcuni suoi film, Federico è stato innanzitutto un amico. “Avevo ventiquattro anni e vivevo a Parigi, ho visto La strada e dopo pochi mesi ho deciso di lasciare la compagnia di danza e sono tornata a Roma, dove viveva mia madre. Volevo incontrare Fellini e ho avuto una lettera di presentazione. Il giorno prima dell’appuntamento sono andata dal parrucchiere e così messa tutta bene mi sono presentata. E’ stato gentile e spontaneo, mi ha spettinata per fare le fotografie ed io ero così emozionata che ho dimenticato di dargli quella lettera che avevo con me”. Tocca infine al disegnatore Milo Manara, che ha realizzato per Fellini i manifesti di Intervista e La voce della luna, sfatare una leggenda grazie al rapporto professionale instauratosi con il regista durante la preparazione dei fumetti di ‘Viaggio a Tulum’ e ‘Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet’, tratti da film ideati da Federico e mai realizzati. “Era considerato un meraviglioso bugiardo, in verità era sincero fino alla crudeltà. Disegnava lo story board, poi chiedeva una brutta copia del fumetto da me disegnato e vi faceva delle correzioni e così si arrivava fino a una terza stesura. Insomma era rigoroso e serio, non si accontentava e di certo non girava improvvisando”. (anno 2019, 240 pagg, Storie vere) Ulteriori info: www.news.cinecitta.com
‘Italia agli Oscar/Racconto di un cronista’

“Italia agli Oscar”
E’ stato presentato a Roma il libro ‘Italia agli Oscar/Racconto di un cronista’. Il racconto è di Vincenzo Mollica, che gli Oscar li ha frequentati fin dall’89. Il tutto è a cura di Steve Della Casa, pubblicato da Edizioni Sabinae e Luce Cinecittà e già premiato come “Miglior libro di cinema” dalla Rivista del Cinematografo.Sono tanti gli italiani che hanno vinto la prestigiosa statuetta: Sophia Loren, Vittorio De Sica, Anna Magnani, Federico Fellini, Giuseppe Tornatore, Ennio Morricone, Roberto Benigni, Paolo Sorrentino, Gabriele Salvatores, Gianni Quaranta Milena Canonero, Dante Ferretti, Francesca Lo Schiavo, Nicola Piovani… “Che cosa sono gli Oscar? – racconta Mollica – Forse il paragone che rende meglio l’idea della loro importanza è di tipo liturgico. Il premio Oscar, a mio avviso, è l’altare maggiore di quella immensa cattedrale che è il cinema. Tutte le cattedrali, come sappiamo, hanno tante navate, tanti altari minori, ma l’altare maggiore è quello sul quale si svolge la messa più importante, quella cantata, quella delle grandi occasioni. Ed è una messa sempre uguale e sempre lo sarà, nei secoli dei secoli. Io ci sono andato più di trenta volte e la liturgia è sempre stata la stessa. Quelli che prenderanno la statuetta entreranno nell’eternità, una sorta di paradiso del cinema. Quelli che devono accontentarsi della nomination sono in una specie di purgatorio. Tutti gli altri che si presentano, si vestono, sfilano sul tappeto rosso nei momenti di stanca e cercano disperatamente un invito per la festa… per loro Dante Alighieri avrebbe previsto un’unica collocazione, l’inferno. Come sappiamo, è il posto peggiore ma anche quello più ricco di storie. Come in quel 1989 in cui vinse Tornatore con Nuovo Cinema Paradiso, e alla fine riuscì solo a dire “grazie” perché tutta la scena – un minuto – glie la prese Cristaldi. O quando sentii mandare a quel paese Jack Nicholson da Antonioni. O quando con Fellini ci divertivamo a fare battute sul nome del direttore artistico, che si pronunciava ‘Caz’. Federico era lì per il premio alla Carriera, gli fecero trovare un vero e proprio trono e tutte le celebrità andavano lì a trovarlo, quasi genuflessi, lui le benediceva. E poi la camminata di Benigni sulle sedie, che è rimasto per l’Academy il suo più grande spot, infatti lo trasmettono ogni anno. E quell’anno i tassisti si fermavano e chiamavano ‘Roberto!’ e lui li salutava con una danza. E poi Troisi, quando c’era, e ancora voleva dirigere Il postino, mi portò a mangiare nell’unica trattoria romana a L.A. dove si poteva avere una pastasciutta decente. Arrivò Al Pacino con due sgallettate. E Massimo commentò ‘Sì, ma è curt’. E quando non c’era più, e tutte le sue ex fidanzate, che si sentivano tutte vedove, organizzarono una festa per celebrarlo”. “La storia del cinema italiano – scrive Della Casa – è anche la storia del suo continuo confronto con il cinema americano. Non è un caso se la library del prodotto statunitense e quella del prodotto italiano siano in assoluto quelle che hanno il più alto valore commerciale e che hanno prodotto il maggior numero di capolavori nella storia del cinema. Il rapporto tra Roma e Hollywood è stato da sempre segnato dall’emulazione, dalla concorrenza ma anche dalla reciproca passione e da un rispetto che è ben testimoniato dall’accoglienza che i prodotti hanno ricevuto nei mercati dell’altro paese”. Il libro è stato realizzato in occasione della presentazione dello storico accordo tra l’Academy of Motion Pictures e Luce Cinecittà, siglato dopo una lunga collaborazione tra le due istituzioni, che prevede una partnership almeno quinquennale all’interno del nuovo Museo Academy di Los Angeles disegnato da Renzo Piano, che verrà inaugurato nel corso dell’anno. L’accordo prevede la programmazione stabile di rassegne, mostre e attività dedicate al cinema italiano. “L’Italia è il primo paese al mondo a chiudere un accordo di questa portata con la nuova creatura dell’Academy – spiega il Presidente e Ad di Istituto Luce Cinecittà, Roberto Cicutto – Il nostro team e quello del Museo cureranno dunque una serie annuale di proiezioni di capolavori italiani e di programmi: si inizierà quest’anno con il tributo per il centenario della nascita di Federico Fellini, che festeggeremo già a partire da lunedì con una serie di iniziative in tutto il mondo, aventi come fulcro la rassegna di tutti i suoi film, interamente restaurati in digitale. Quello che ho imparato è che agli Oscar il cinema italiano è sempre di casa, non siamo considerati i parenti poveri ma abbiamo un ruolo centrale e siamo considerati una grande risorsa”. Ulteriori info nel sito internet: www.cinecitta.com

Micromega dedica il primo numero del 2020 al Cinema. E parte con un doppio omaggio a Mario Monicelli, a dieci anni dalla sua scomparsa, con un approfondimento di Mario Sesti sullo stile del padre della commedia all’italiana; un’intervista a Michele Placido, che con il grande regista ha lavorato in diverse occasioni; e una lunga conversazione del critico Quim Casas con Monicelli stesso, realizzata due anni prima della sua morte e mai pubblicata prima in italiano. A Federico Fellini, in occasione dei 100 anni dalla sua nascita, è dedicato il secondo omaggio con i saggi di Alessandro Carrera, che spiega perché il grande cineasta ha saputo comprendere (e narrare) forse più di chiunque altro l’Italia e gli italiani; di Roy Menarini, che racconta la diversa ricezione – in Italia e all’estero – dell’opera felliniana; e di Valeria Della Valle, che ci parla del ricco lascito del regista alla lingua italiana. Una seconda sezione del numero è dedicata invece ai “Maestri del cinema” e offre al lettore il punto di vista di registi che hanno fatto (o stanno facendo) la storia della settima arte. Si parte con il maestro del brivido (e non solo), Alfred Hitchcock, che in questa conversazione del 1976, qui pubblicata per la prima volta in italiano e introdotta da Giorgio Gosetti, ripercorre la sua lunghissima carriera in occasione dell’uscita di quello che sarà il suo ultimo film: Complotto di famiglia. Si prosegue con il dialogo che Francis Ford Coppola ha intavolato con Gian Luca Farinelli, Paolo Mereghetti e gli studenti di cinema incontrati di recente nell’ambito della rassegna Il Cinema Ritrovato, a Bologna; con Kore’eda Hirokazu, regista Palma d’oro nel 2018 per il film Un affare di famiglia; e con Peter Kubelka, che in questa conversazione con Stefano Masi parla dei suoi film metrici, che hanno stabilito le fondamenta del cinema strutturalista. Per finire con Mario Martone, che ci parla del suo cinema a caccia della complessità, invito allo spettatore a continuare da solo il viaggio; e Giuseppe Tornatore, che ripercorre la rocambolesca vicenda cinematografica di Nuovo Cinema Paradiso. Ai mestieri del cinema è dedicata una terza parte del volume: Francesca Calvelli, una delle voci più autorevoli del montaggio italiano, ci racconta perché montare un film significa talvolta riscriverlo una seconda volta; Luciano Tovoli, tra i maggiori direttori della fotografia al mondo, ci parla dell’autorialità, della creatività e delle prospettive del mestiere di cinematographer; la produttrice Francesca Cima ci fa guardare il cinema dall’angolazione di chi permette a questa macchina di girare; Antonio Spoletini, ultimo rappresentante della famiglia attiva nella ricerca di comparse a Cinecittà fin dalla nascita degli Studios di via Tuscolana, in conversazione con Jacopo Mosca ci racconta i trucchi del mestiere; il critico Boris Sollazzo ci porta su un set a conoscere l’attrezzista di scena, gli elettricisti, la segretaria di edizione… un viaggio fra i mestieri ‘minori’ che fanno grande il cinema. Una sezione del numero è dedicata poi al piccolo schermo, con un contributo di Marilù Oliva che ci racconta della crisi del sogno americano passando in rassegna le serie tv uscite negli Usa negli ultimi anni, e un’intervista di Giacomo Russo Spena a Carlo Verdone, in vista dell’uscita della serie tv Vita da Carlo. Ma l’almanacco di cinema non finisce qui. MicroMega ha infatti chiesto ad alcuni fra i più importanti critici cinematografici di dirci qual è il loro film della vita e di spiegarci il perché. Per questa “cineteca ideale” Emanuela Martini, Alberto Crespi, Flavio De Bernardinis, Mario Sesti, Federico Pontiggia, Fulvia Caprara, Fabrizio Tassi, Giona A. Nazzaro, Jean A. Gili, Roy Menarini, Fabio Ferzetti, Piera Detassis hanno scelto i lavori di Michael Powell, John Ford, King Vidor, Max Ophüls, Abel Ferrara, Luchino Visconti, Stanley Kubrick, Robert Altman, Vittorio De Sica, Alfred Hitchcock, Paul Thomas Anderson, Victor Sjöström. Completano il volume un saggio di Alain Badiou sul rapporto fra cinema e filosofia e uno di Sara Hejazi sul cinema iraniano. Arricchisce infine l’almanacco l’inserto a colori con 15 immagini tratte dalla mostra “Mario Monicelli e RAP. 100 anni di cinema” realizzata dall’artista Chiara Rapaccini (in arte RAP) in omaggio al marito, il grande cineasta Mario Monicelli, in occasione dei 100 anni della nascita del regista, nel 2015. Ulteriori info nel sito internet : www.micromega.net