
Prodotto da Marco Belardi (Lotus) insieme a Raffaella Leone di Leone Film Group e Rai Cinema con Paolo Del Brocco, lo stesso team di A casa tutti bene campione d’incassi 2018, questo è il suo film più costoso e ambizioso, lo considera addirittura “epico”, più di quelli girati in America. Riprese a Roma – anche a Fontana di Trevi – e Napoli, con una settimana di interni a Cinecittà, uscita il 13 febbraio 2020 con 01. Cast di lusso: Pierfrancesco Favino, Micaela Ramazzotti, Kim Rossi Stuart e Claudio Santamaria sono i quattro protagonisti, a cui si aggiungono tanti personaggi di una storia tuttavia meno corale del solito. E tra questi la cantante Emma Marrone – “mi ha incuriosito, ha un volto cinematografico, ma ha dovuto superare un provino” – e due figli del regista. I migliori anni racconta la vita dei personaggi dall’adolescenza negli anni ’80 ai giorni nostri. Ed ecco nelle prime immagini viste i tre amici sedicenni durante violenti scontri di piazza. Escono da una discoteca dove ballavano Imagination Just an Illusion e incontrano una ragazza che diventerà il centro delle loro attenzioni e della loro amicizia. Li ritroviamo giovani uomini alla ricerca di un futuro. Favino, figlio di un gommista, è avvocato di successo, Rossi Stuart con mamma barista, farà il professore, Santamaria che viene da una famiglia alternativa di hippie e artisti, diventa attore, sceneggiatore e giornalista, uno che vuole spettacolarizzare la sua esistenza. Ma è Micaela il motore della storia: una ragazza orfana che crescerà a Napoli con la zia per poi tornare a Roma e innamorarsi. “È una donna smarrita, confusa, spiazzata, piena di vitalità ma con un bisogno compulsivo d’amore, che cerca il padre in tutti gli uomini”. Altro personaggio è Roma, da Trastevere al quartiere Prati. “Allora vivevano uno accanto all’altro l’avvocato e il fruttarolo, il commercialista e il gommista. Le borgate erano le colonne d’Ercole della città, dove nessuno si azzardava ad andare, mentre il centro era socialmente misto”. Quali sono i migliori anni? È una domanda senza risposta per il 52enne Muccino. “Ognuno di noi ha vissuto un’età che ricorda con trasporto e malinconia. Ma non è detto che sia la gioventù, per me è il contrario. Ero un adolescente irrisolto, mentre a 30 anni ho trovato il mio modo di comunicare con il cinema”. C’è una dimensione sociale, collettiva, in questa storia. “Si parla molto di cambiamento e si scorrono gli eventi degli quattro decenni: la fine degli anni di piombo, la caduta del muro di Berlino, Mani pulite che sembrò la nostra rivoluzione ma non lo fu, l’11 settembre che ci ha resi tutti vulnerabili, infine il Vaffa Day, un momento in cui si è creduto di poter trasformare tutto”. È un film politico? “Lo è solo perché siamo governati dalla politica. Contiamo su chi ci governa perché le cose vadano meglio, facciamo politica anche senza saperlo. Siamo tutti portatori di un pensiero politico, in ogni conversazione esce un punto di vista sulla vita. Questi quattro stanno alla finestra, sono individualisti, egocentrici, hanno bisogno di capire loro per primi dove si stanno dirigendo le loro vite”.Ma non è nostalgico. “È un film al presente e la cosa più vistosa che racconta è quanto sono cambiati gli italiani. Ed è una sceneggiatura con molta speranza. Questi quattro sono convinti che domani sarà un giorno migliore, c’è una tensione positiva verso il futuro. E la curiosità di capire chi saranno i nostri figli, anche per questo avevo bisogno di lavorare con mia figlia Penelope di 10 anni e con il sedicenne Ilan”. (intervista a cura di Cristiana Paternò)